A Milano
come a Parigi, a Londra come a New York, ogni mattina, fra le 6:30 e le 8:00,
accolgono migliaia di lavoratori o studenti provenienti da ogni latitudine della
provincia, e ogni sera fra le 18:00 e le 19:00 li vedi ripartire. I più lontani
lasciano le loro case quando il sole ancora non è sorto e vi ritornano che è
sera inoltrata.
Ci sono poi, quelli, che si fermano in città fino a tarda sera
per frequentare palestre o centri commerciali. I più fortunati arrivano con un
proprio mezzo di trasporto, a due o quattro ruote, mentre i meno fortunati si
accalcano nei treni e negli autobus. Apparentemente disinvolti, sorridenti e, a
volte, chiassosi i più giovani, mentre seri,
taciturni e spesso imbronciati i più anziani.
I pendolari non hanno etnie e ne
sesso, appartengono a ogni stato sociale, hanno un proprio credo politico e religioso e
hanno un forte senso di appartenenza al branco. Non so chi
per prima li ha chiamati pendolari, ma trovo appropriato il nome. Vanno e
vengono, dal lunedì al sabato, per lo stesso
percorso, con meccanica rassegnazione, proprio come il pendolo, che
meccanicamente compie e ripete sempre la stessa oscillazione.
Il pendolare
e un uomo pragmatico, è lui che ha inventato l’abbigliamento a cipolla, e
sempre lui che in occasioni di scioperi o ritardi nella borsa ha sempre tutto l’occorrente
per la sopravvivenza.
Pendolari,
fenomeno della nostra era, comune a tutte le metropoli, in grado di
offrire lavoro anche a chi viene da
lontano, ma non alloggi, perché troppo cari. Una cosa è certa però, ogni frazione di tempo che fosse possibile
sottrarre alla fatica dei pendolari assumerebbe un rilevante valore umano.
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