In
questa epoca sempre pronta a nuovi cambiamenti, sempre incurante delle
avversità della vita, dolore e morte sono gli unici fantasmi ancora temuti da
questa società, che considera la vecchiaia un insulto inaccettabile. Non si è
più preparati come un tempo all’ineluttabilità della fine, per questo si cerca
di mascherare la morte, di allontanarla, addolcirla.
E se
c’è qualcosa di umano e di logico in questa paura, c’è qualcosa di assurdo e
sinistro nei modi di esorcizzarla. Vedi gli americani, sono tremendamente bravi
nel cancellare dai loro pensieri e dalle cose di tutti i giorni il pensiero
della morte. I funerali sono ormai feste,
i defunti vengono imbalsamati truccati, ingioiellati, affinché sembrino
ancora in vita. Mentre ambigui istituti promettono presto la resurrezione
mediante un processo di congelamento.
In
Italia, siamo molto lontano da questa ansia di vita eterna, e finché siamo
costretti a morire cerchiamo una morte indolore e che sopraggiunga in modo
inaspettato. In questo clima di giustificato timore si parla sempre
maggiormente di eutanasia, di questa “”buona morte”” offertaci da mani
premurose pronte a staccare tubi e chiudere valvole, a prepararci iniezioni
liberatorie.
Il
grande dramma che contiene in sé questa parola è nella contraddizione del suo
significato: la buona morte. C’è davvero una buona morte, o la morte è sempre
morte comunque? È giusto dare una buona morte a chi sta soffrendo pene atroci,
anche se di conseguenza significa togliergli la vita?
Fra
le tesi a sostegno dell’eutanasia, c’è quella del diritto di morte dignitosa,
ma sicuramente è difficile parlare di dignità nel dolore. Una persona che
soffre, urla, di dibatte, chiede aiuto. Ma come si misura la dignità di una
persona? Con lo stesso metro di giudizio che viene utilizzato per una persona
sana? Io penso che in nessun altro caso l’uomo ha tanta dignità quanto né ha
nella sofferenza e nella morte. Quando si parta di eutanasia non si tiene conto
che la si praticherebbe su un essere privo di coscienza, almeno nella maggior
parte dei casi, quindi incapace di dare la sua approvazione. Non penso vedere
praticare ad un proprio caro l’eutanasia sarebbe dignitoso ne per lui ne per
noi.
Di
fondo c’è il profondo desiderio di vita, che a volte sopravvive, supera, va al
di là persino della nostra volontà. “”l’essere”” sosteneva Aristotele, è
comunque superiore al non essere, anche lo stesso Leopardi, pur nel suo
pessimismo, scriveva: “”la morte non è mai troppo vicina al pensiero del
moribondo per la misericordia della natura””.
Io
penso che il problema sia estremamente delicato, mi sembra azzardato codificare
l’autorizzazione a porre fine ad una vita. Già la nostra epoca è piena di morti
di tutti i tipi, aggiungere un altro motivo per uccidere, e assurdo.
Non sarebbe allora più giusto, anziché invocare
una legge che regoli la nostra fine, affidarci alla coscienza di chi ci cura e
al coraggi di chi ci ama? Io personalmente
non mi sentirei di prendere una decisione così terribile.
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