L’uomo moderno constata e ammira il progresso scientifico e tecnico, ma dubita che esso equivalga necessariamente a un progresso assoluto e senza aggettivi. Rimane ancora salda, nelle espressioni più avanzate dell’umanesimo moderno, la fiducia nel sapere scientifico e nell’operare tecnico. Ma l’ideologia del progresso, la fede nel continuo perfezionamento morale e culturale dell’uomo vengono criticate aspramente.
Il
confronto inevitabile con i fatti e con le realtà, è una denuncia quotidiana
del carattere illusorio e utopistico di quella pur generosa ideologia. La religione
del progresso ebbe già nei secoli passati i suoi apostati, Schopenhauser,
Nietzsche, per esempio. I lamenti funebri sul tramonto dell’occidente sul
crollo e sulla disgregazione della nostra civiltà e dei nostri valori sono sempre più diffusi.
Esiste addirittura una letteratura sulla decadenza dei nostri tempi e sulla
nuova apocalisse che incombe, basti pensare a Heidegger, o a Klagges, per
finire con Gunther Andres. Come in tutti i periodi di crisi e di sgomento, attendono
la fine della storia in corso e la fine dell’era presente.
Contro
la pericolosa fascinazione dei neo-apocalittici, valgono le critiche che
giustamente si sollevano contro ogni sorta di fatalismo o inerzia. Ne il bene
ne il male, nel il progresso ne il regresso si compiono come un fato al di
sopra della nostra testa. Nessun altra epoca ha mai avuto i mezzi che oggi
esistono concretamente, per allontanare gli spettri del nulla e della
distruzione.
Il
nostro futuro dipende dalle nostre iniziative, da quell’ottimismo della volontà
consapevole, che è più forte di ogni pessimismo intellettuale. Cerchiamo
quindi, nelle cose piccole e grandi, nella vita quotidiana e nei problemi più vasti, di agire
fiduciosamente entro i limiti delle nostre reali possibilità, che non sono
illimitate e infallibili, ma non sono nemmeno poche precarie o irrealizzabili.
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