Solitamente si dice che sono le
esperienze a fare le persone, ma io aggiungerei anche i luoghi di quelle stesse
esperienze.
Quei luoghi affollati dalla rumorosa vivacità di ragazzi venuti su
un po’ per la strada un po’ a casa gli uni degli altri. Sudati per la baldoria
delle partite di calcetto sotto il sole delle vacanze estive, delle feste
all’aperto e degli amori contrastati dall'adolescenza.
Quei ragazzi, cresciuti,
si sono persi di vista e hanno preso strade diverse. Continuando a tener duro
legami che hanno resistito alla trasformazioni indotte dal tempo, e
dall'avanzare del grigio cemento, rendendo i luoghi che li hanno benevolmente
ospitati sempre più poveri e squallidi.
Oggi, a camminarci per quei luoghi si
prova solo un grande senso di malinconia, per il desolante abbandono che li
contraddistingue. Sono vuoti: non ci si trova più la vivacità di “scugnizzi”
che si azzuffano, né la tenerezza delle effusioni di adolescenti in fuga
dal presente.
I giovani oggi hanno messo un chiavistello alla porta
chiudendo il mondo fuori. Non c’è più dialogo, un po anche per colpa dei
genitori incapaci di socializzare. ora tutti i ragazzi si fidanzano su
Facebook e si lasciano su Whatsapp. Tutto questo mi spinge ad una riflessione
su quello che sono i rapporti umani e di come questi sono influenzati dalla
tecnologia.
Non prendo in riferimento dati statistici o valutazioni
sociologiche, ma basta osservare ciò che ci circonda. Ormai è “cosa di
tutti i giorni”, uscire e trovarsi di fronte a questa scena: un gruppo di
giovani, magari intorno al tavolino del locale nel quale si sono dati
appuntamento che non parlano, o meglio, non parlano tra loro, ma con la testa
china sui loro smartphone chattano con altri.
Esiste una satira che gira ormai da tempo sul web, e spiega bene il tutto: Se Gino Paoli si fosse
trovato oggi a scrivere una delle sue più note canzoni avrebbe scritto
"Eravamo 4 amici al bar, uno sta su facebook, uno gioca a candy crash, uno
chatta su whatsup e l'altro fa selfie"
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