Una nuova forma di apartheid, una nuova carriera
potenzialmente più rapida e spietata di quella dovuta un tempo alla differenza
di razza e di classe, si sta sviluppando in modo apparentemente indolore, ma non per questo
meno iniquo e crudele, nella società di massa livellata e smussata, adeguata
allo stereotipo, uniforme nei gusti e nei costumi di una malintesa società
delle macchine.
Il confine sempre più ferreo tra chi è
accecato od escluso dal mondo del lavoro, non in base a una valutazione reale
di capacità ed efficienza, ma solo in nome di un criterio anagrafico, astrattamente
concettivo.
Ormai la nostra società si è trasformata in
una giungla dominata da una vegetazione parassitaria, artificialmente coltivata,
dove una maggioranza sempre più cospicua di persone economicamente dipendenti,
graverebbe su una minoranza di lavoratori sempre più esigua, se il lavoro stesso non sarà articolato in
base alla diversificazione dei ruoli, al di fuori di ogni rigido schematismo e
preconcetto.
La società tecnologica ormai si è già
evoluta verso nuove forme sempre più sottili e complesse di mansioni nella
produzione dei beni e nell’esplicazione dei servizi, non si tratta solo di
aggiornarsi a modelli rispondenti alle esigenze stesse della natura umana, ma di tagliar via i rami secchi di una concezione vetero-capitalista dello
sviluppo industriale. Oggi c’è una sfera sempre pi vasta di bisogni fondamentali
che la vecchia società industriale non è in grado di soddisfare con le sue
strutture ossificate, che potrebbe offrire utili occasioni di lavoro a quanti,
giovani o vecchi, sono esclusi dalla cintura burocratica della mappa
occupazionale.
Basterebbe uscire dai congegni cieche di
una macchina che rischia la paralisi per i processi burocratici degenerativi
che ne inceppano il dinamismo, basterebbe defiscalizzare gli investimenti in innovazione e formazione,
creando un adeguato sistema di welfare della conoscenza a supporto della
continuità professionale, in cui l’occupazione in quanto tale, cessi di essere
vista come un privilegio, e diventi, quale può e deve essere, una
partecipazione gioiosa alla vita comunitaria, una manifestazione primaria e
indispensabile dell’esistenza.
Questa è
l’impalcatura su cui costruire e senza la quale ogni jobs act, o come lo si
voglia chiamare, rischia di rappresentare un mero esercizio di stile ed
un’ennesima occasione persa.
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