Noi non possiamo più godere della libertà degli antichi, che si basava
sulla partecipazione attiva e costante al potere collettivo. La nostra libertà
oggi si basa sul pacifico godimento dell’indipendenza privata. La parte di
sovranità nazionale che spettava a ciascuno di noi non era affatto, come lo è oggi, una ipotesi astratta.
La volontà di ciascuno costituiva un piacere vivo e ripetuto, di
conseguenza, gli antichi erano disposti a fare molti sacrifici per la
conservazione dello stato. Ognuno rendendosi conto con orgoglio di quanto valeva
il suo suffragio, trovava in questa coscienza un ampio indennizzo. Oggi questo
indennizzo per noi non esiste più, disperso nella moltitudine, l’individuo
quasi mai si rende conto dell’influenza che esercita. Mai la sua volontà
impronta di se la collettività, niente prova ai suoi occhi la sua cooperazione.
L’esercizio dei diritti politici ci offre, dunque, solo una parte
dei vantaggi che gli antichi vi scorgevano, e allo stesso tempo, i progressi
della civiltà, la tendenza della nostra epoca al commercio, la comunicazione
dei popoli, hanno moltiplicato e variato all’infinito i mezzi del benessere
privato.
Vien da se che noi, ben più degli antichi, dobbiamo essere
attaccati alla nostra indipendenza individuale; perché gli antichi, quando
sacrificavano questa indipendenza, sacrificavano il meno per ottenere il più. Mentre
noi compiendo lo stesso sacrificio,
daremmo il più per ottenere il meno. Il fine era la divisione del potere fra
tutti i cittadini di una stessa patria, era questo che essi chiamavano libertà.
Il fine dei moderni è la sicurezza nei godimenti privati, e chiamano libertà le
garanzie accordate a questi godimenti dalle istituzioni.
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