Oggi giorno, in molti sono convinti che la solitudine sia
sinonimo di infelicità. Ma non c’è nulla
di più sbagliato. Se non vi fa stare male, soprattutto quella che si
prova quando, almeno in apparenza, soli non si è. La solitudine è anche una opportunità per
conoscersi meglio.
La maggior parte della
gente vive in una sorta di socializzazione coatta, siamo tutti costretti a
frequentare altri nostri simili, e se per qualsiasi ragione uno preferisce
restare da solo, ecco che sorgono i primi allarmismi. Come se fosse un sintomo di una pericolosa
involuzione e preludio di chissà quale alienazione mentale.
Ecco allora che ci
siamo inventati la figura dell’animatore, che ha il compito di stanare tutti
coloro che cercano in qualche modo di sfuggire all’orrida socializzazione, costringendoli
a unirsi al gruppo. Oggi i sociologi credono o meglio pensano, che le persone
debbano fisiologicamente aggregarsi, identificando la solitudine come un
problema contemporaneo più sentito, e probabilmente lo è.
Non tutti potranno condividere il mio pensiero,
ma la solitudine è, spesso frutto di una selezione, e dovrebbe essere triste
essere obbligati a tessere relazioni pur di non rimanere soli.
Il voler isolarsi, non voler condividere, non è egoismo.
Per molti è un momento di creatività, di nutrimento. E spesso questi momenti
non possono essere compresi da chi non lo sta provando, e quindi non
necessariamente condivisibile. Un contadino conosce bene quelle sensazioni,
quando si trova a contatto con la nuda terra, o un fabbro quando forgia magistralmente il ferro.
La felicità personale è di rado socializzabile …
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