NE’ SET FOTOGRAFICI, NE’
SCENARI POST BELLICI, MA EX CARECERI, MINIERE O LOCALITA’ COSI’ IMPERVIE DA
ESSERE ABBITATE, SE VA BENE, SOLTANTO DA CAPRE. IL MEDITERRANEO E’ RICCO DI
ISOLE COMPLETAMENTE ABBANDONATE.
Ma al di là di quel che sono state, di quel che hanno rappresentato, e rappresentano, le isole costituiscono un patrimonio. Da mettere all’asta, per far cassa. In affitto o in vendita. Su quegli angoli di paradiso, frequentemente luoghi naturali incontaminati, si concentrano interessi, per così dire “pratici”.
Così accade in Grecia. Dove la vendita delle 227 isole disabitate è uno degli escamotage per migliorare la posizione debitoria nei confronti dei creditori internazionali. Ovviamente non per realizzarvi delle oasi naturali. L’idea quella di costruirvi residenze per danarosi vip.
Le isole continuano a rimanere spazi che seppure nelle evidenti differenze che li contraddistinguono sembrano accomunati da una certa “estraneità”. Da un’idea di territorio oscillante tra utilizzo e sfruttamento. Da politiche che, al di là dagli indirizzi seguiti dai vari stati, vedono in contrapposizione un’urbanistica dissennata e un ambientalismo cieco. Da un lato la commercializzazione immobiliare delle isole private offerte in vendita, e forniti spesso di approdo per jacht, ville con piscina, eliporti. Dall’altro luoghi “fermi” nei quali la Natura non sembra voler lasciare spazio all’Uomo. Gli scheletri delle palazzine di Gunkanjima, come i penitenziari di Pianosa e Gyaros sono i resti dell’antropizzazione del passato di alcuni di quei luoghi. Per molti dei quali esiste, invece, “soltanto” la Natura.
In un ecosistema in equilibrio anche le isole dovrebbe avere un posto. Esito di una programmazione non soltanto territoriale ma anche culturale. Che a quanto sembra ancora non c’è quasi mai.
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