“Il vocabolario è il più obiettivo
dei libri” affermava Cesare Marchi.
Poi possiamo ricorrere all’etimologia
delle parole, e ci svela inattese affinità, tra parole apparentemente distanti
tra di loro: il malato agonizzante nel letto e l’atleta in competizione,
entrambe hanno una radice comune: “”agonizhestai “” che vuol dire combattere per la vita o per una
medaglia. (Cesare Marchi: Impariamo l’Italiano,
Rizzoli)
Il vocabolario è un
condensato di ricchezze narrative, ogni parola occupa un suo piccolo spazio, ed
è posta in un preciso ordine alfabetico, e si rendono disponibili ad arricchire
la nostra conoscenza, ma quante sono le parole che conosciamo? Decisamente poche!
Viviamo all’interno di una
cultura che promuove la libertà di parole, ma com’è possibile esercitarla se di
parole ne conosciamo così poche? Più parole più idee è lo slogan condiviso. Già
ma un’idea ha bisogno di un senso per prendere consistenza, per essere
comprensibile. Abaco, abete fino ad arrivare a zuzzurellone, sono parole che
non formulano un idea perché non esprimono un senso.
Un dizionario può fornirci
delle informazioni, ma come utilizzarle, va al di là del dizionario stesso,
coinvolge l’uomo, che è attore della sua stessa vita, nel suo percorso
esistenziale, e in ciò che si propone di realizzare con i quali ciascuno di noi
deve fare i conti.
Ora io mi chiedo: “”se le
parole del vocabolario prese singolarmente non danno senso ad una frase, la
mente umana invece da sempre un senso alle frasi che formula?””
Nessun commento:
Posta un commento