-“”allargare l’area dei perché è un esercizio
arricchente, porsi quesiti, richiede, se non addirittura esigere, risposte …
aiuta a riflettere, a capire, a mettersi in discussione, a cambiare””
(questo è quanto afferma M.R. Parisi in l’alfabeto dei sentimenti).
La
consapevolezza della propri complessità
si realizza attraverso le domande che si ci pone, “” è legata alla capacità di praticare l’arte
filosofica dell’interrogare e dell’interrogarsi””. Si cresce di perché in perché di domanda in
domanda, e gli interrogativi ci aiutano
a prendere consapevolezza del sé.
Chiedersi e
voler sapere è un atteggiamento che esprime l’intenzione di esserci, di
partecipare direttamente al processo di soluzione del problema. È un
atteggiamento che libera da un pensiero immobilizzante. Interrogare i propri
nodi, ovvero cercare di capire come mai si reagisce ad una sollecitazione
piuttosto che ad un’altra, o cercare di capire le ragioni interiori invece di
quelle esteriori è un modo per approdare ai piani superiori della
consapevolezza. Ognuno di noi è responsabile di se stesso, ed essere
responsabili è un compito che reclama la propria natura, il nemico più subdolo di questo compito è la rassegnazione, la
resa, ritiro innaturale dell’agone della vita.
“”Cum grano salis”” (con un grano di sale), ecco come gli antichi
latini misuravano il buon senso dei loro
comportamenti, e con quanta avvedutezza affrontavano le vicende della vita. Quindi,
fare lo spettatore nella recita della propria vita significa non andare in
scena, cioè significa non percorrere la strada che porta al proprio benessere.
Con questo
voglio concludere con una frase di A. De Mello: -“”l’unica tragedia al mondo è la mancanza di consapevolezza””.
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