Era prevedibile che prima o poi, grazie alla nostra “ingegneria istituzionale”, si
arrivasse a sciogliere il nodo del bicameralismo perfetto, così com’era
prevedibile che fosse la sinistra a voler sbancare il lunario, grazie alle sue migliori
tradizioni Giacobine.
Vale innanzitutto la pena ricordare che, l’assetto bicamerale di
oggi è il frutto di un accordo coatto tra la “DC”, che era favorevole ad un
assemblea costituita da professori e maestri, e la Sinistra che riteneva quelle
formule di dubbio carattere democratico. Il risultato fu la nascita della
Camera e del Senato, che si distinguevano
unicamente per l’età degli elettori, e come già ampiamente ci hanno
dimostrato sono sostanzialmente uno il doppione dell’altra.
La causa dei nostri mali sono due articoli: l’art. 138 della Costituzione che è la prima tessera del domino, quella che, se cade, cadono tutte le
altre di seguito. Sostanzialmente l’articolo decreta le procedure di modifica
della Carta costituzionale. Dunque, modificarlo significherebbe aprire la pista
alle tanto discusse riforme. E poi c’è l’art. 139, l’ultimo della nostra
Costituzione, e fra i più brevi, ma è anche il più perentorio. Si riconduce al
primo , e ne rafforza l’iniziale affermazione. L’Italia è una Repubblica …..
affermava il primo; la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione
costituzionale conferma l’ultimo.
Che sul piano dei sommi principi, il problema esiste, sarebbe
onestamente impossibile negarlo, la Repubblica essendo democratica è fondata
sulla sovranità popolare, però il nostro bicameralismo non può essere una
giustificazione razionale. A ciò si aggiunge che, Camera e Senato concorrono
all’esplicazione delle stesse funzioni.
Queste duplicazioni è non solo inutile, ma anche nociva, basta
pensare all’assurda procedura che ogni nuovo Presidente del Consiglio (fatta
eccezione per gli ultimi tre) deve fare in entrambi i rami del parlamento, e
del doppio dibattito della fiducia, oppure ai lunghi patteggiamenti per il
bicamerale, o infine al rimbalzare tra Montecitorio e Palazzo Madama, di leggi
già approvate in una sede, vengono poi modificate, spesso ubbidendo ad esigenze clientelari, o a veri e propri
colpi di mano.
Inoltre c’è da tener presente, forse il punto più importante, e
cioè una riforma di questo genere, permetterebbe di ridurre notevolmente il numero dei rappresentanti del popolo. Riduzione
che, oltre a risolvere una situazione anacronistica, farebbe risparmiare un bel
po’ “euri”. Credo che ce n’è abbastanza perché
l’idea del doppione, inutile ed
ingombrante, debba cessare.
La soluzione adottata sembra essere il modello
Tedesco, dove la nuova assemblea sarà
costituita non più dai 315 senatori
di oggi, ma da un gruppo di 100 personaggi politici così ripartiti: 74
consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 personalità illustri nominate dal
presidente della Repubblica. Palazzo Madama avrà molti meno poteri e verrà
superato il bicameralismo: innanzitutto non potrà più votare la fiducia ai
governi in carica, mentre la sua funzione principale sarà quella di
"funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della
Repubblica", che poi sarebbero regioni e comuni. Potere di voto vero e
proprio invece il Senato lo conserverà solo riforme costituzionali, leggi
costituzionali, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali degli enti
locali, diritto di famiglia, matrimonio e salute e ratifiche dei trattati
internazionali.
Con questo non voglio
certo negare che esiste anche una crisi più vasta del sistema parlamentare, ma
è inutile spostare il discorso su un piano più generalizzato, fino a quando non
si fa tutto il possibile per eliminare
le incongruenze e i difetti che sono davanti agli occhi di tutti.
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