Quanto cammino percorso da quel lontano 16 ottobre 1985, anno in cui i rappresentanti di quarantaquattro Paesi furono invitati a firmare l’atto costitutivo delle organizazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.
Tutti siamo testimoni delle importanti realizzazioni compiute dalla FAO, la
progressiva sua espansione, il suo costante dinamismo, l’arditezza delle sue
vedute, la varietà e l’ampiezza delle sue azioni.
Ma nonostante il senso di fraternità universale, che sono i
moventi delle sue iniziative, non riescono a tenere il passo con le sfide dei nostri tempi: a man mano che
gli sforzi aumentano, la popolazione mondiale si moltiplica, e la miseria si accresce. E mentre un piccolo
numero di uomini è colmo di risorse incessantemente crescenti, una parte sempre
più considerevole continua ad avere fame di pane e di educazione ed avere sete
di dignità.
Una utilizzazione più razionale delle risorse, uno sfruttamento
meglio concepito delle terre e delle acque, delle foreste e degli oceani, una
migliore produttività delle culture, della pesca e dell’allevamento,
fornirebbero certamente derrate di maggiore qualità e in maggior quantità. Ma
come sappiamo i bisogni sono aumentati, sotto la doppia pressione di una ascesa
demografica assai rapida e di un consumo la cui curva segue la progressione
delle entrate.
Quindi sembra quasi indiscutibile, che il miglioramento della
fertilità del suolo, lo sforzo di selezionare cereali ad alto rendimento, lo
sfruttamento dei mari e dei fiumi, sembrano richiamare la previsione del
vecchio profeta dell’epoca rurale: “il
deserto rifiorirà”
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