Tutti noi la bramiamo, la cerchiamo affannosamente, la riteniamo
un nostro diritto, eppure la felicità sembra sfuggirci continuamente,
viene e va a suo piacimento in un estenuante gioco al gatto e al topo.
Al di là
di tutte le elucubrazioni filosofiche in materia, come potremmo
definire la felicità nella vita quotidiana? Se ci soffermassimo a
riflettere sul suo significato, forse ci accorgeremmo che identificarla con la
soddisfazione individuale di matrice egoistica, è un grave errore. Come si
trattasse di un oggetto da possedere e custodire gelosamente.
A tal proposito casca a puntino la teoria dei neuroni
specchio, cellule cerebrali che ci fanno reagire in modo speculare alle azioni
e alle intenzioni dei nostri simili. Per cui, se tutti noi ci sforzassimo di
essere meno giudici e più altruisti, si verificherebbe in breve un contagio di
positività e un mondo migliore sarebbe certamente terreno fertile per il
diffondersi della felicità.
La felicità è abituata a mutare pelle, adattandosi alle epoche,
mimetizzandosi tra le genti: è impermanente, cambia col fluire dell’esistenza,
è democratica, non conosce differenze di ceto o ricchezza. La felicità in
definitiva esiste, esisterà sempre, ma per quanto ci si sforzi di descriverla,
analizzarla e limitarla al nostro personale modo di intendere, non si riuscirà
mai davvero a sviscerarne l’autentica natura.
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