Ho corso molto... trafelato e sudato... ho
studiato e lavorato al contempo... ho dormito qualche notte sotto le
stelle... ho avuto le lacrime agli occhi davanti a una vetrina di pane...
Ho desiderato essere felice.
Ho imparato a muovermi rasente ai muri guardandomi
le spalle temendo agguati del destino, e a quarantacinque anni, sebbene portati
con certa gagliardia, non posso che essere consapevole, che, La vita immaginata è più importante di quella che archiviamo. Ma tra la stupidità stucchevole
della giovinezza e la meschina intelligenza della maturità alla fine
preferisco l'ultima.
Ecco perché alla felicità preferisco la serenità. La
serenità è semplicemente la fine di un percorso. E' la capacità d'accettazione
di se stessi, degli altri, della vita in se...
... E' il comprendere l'assurdità del
preoccuparsi di cose di cui non si può minimamente controllare lo svolgimento. Non è altro che la positiva percezione di come ci sentiamo, male o bene che
sia.
La felicità, invece, resta quell'attimo che faustianamente vorremmo
sospendere nei rari momenti che la cogliamo, e' la fuga dal tempo. Ad esempio i
primi amori danno molta felicità, finchè durano, poi incazzature a iosa.
La
felicità ricordo è un concetto astratto, è immaginazione, è qualcosa di
allegramente zompettante... un'irrefrenabile voglia di urlare al mondo...
incapace di fermarsi.
...NnnnAAaaaa...troppo fatica... troppo
vecchio e stanco... preferisco restare nel mio status con una visione del mondo
che si è fatta struttura del mio vivere, senza acmi spasmodici … mi accontento
di un po' di noia (ad averne).