martedì 8 novembre 2016

La Costituzione, un libro da difendere



Manca ormai meno di un mese, per il 4 dicembre, data nella quale si terrà il referendum per approvare o respingere  una serie di modifiche alla nostra Costituzione.





Era il lontano 1 gennaio 1948 quando entrò in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana, quando tutti i partiti politici, e sottolineo tutti compresi i monarchici,  erano riusciti  a superare  infinite divergenze per realizzare, tutti insieme un capolavoro sociale, che guardava ai bisogni dei cittadini più  che agli interessi di questo o quello schieramento politico.

Quel patto  per sessant’anni ha garantito la democrazia. Certamente c’è ancora margine di miglioramento per portare a termine  il progetto dei padri costituenti, e a questo fine non è detto che la costituzione non possa essere modificata. Ma sicuramente i problemi dell’Italia non potranno essere risolti solo con una semplice riforma, che per altro, registra pareri contrapposti anche tra gli studiosi e giuristi più competenti. Ormai già da troppo tempo, spesso con toni accesi, ben diversi da  quanto meriterebbe un argomento così delicato,  vengono sprecate troppe energie, continuando ad inasprire i rapporti.  L’argomento più frequente è quello “”dell’ora o mai più”” drammatizzando sugli effetti di una vittoria del Si o del No.

Sull’esempio dei padri costituenti, forse una maggiore lungimiranza avrebbe evitato questo poco edificante siparietto, tra i vari partiti politici, che in nome dei diritti e delle libertà, non fanno altro che difendere le proprie poltrone.

Orami siamo all’epilogo finale, e il rischio anche questa volta, in  molti andranno a votare, sulla base di slogan superficiali ed ingannevoli, più che per reale conoscenza della materia sulla quale ci si deve esprimere. L’invito che vi rivolgo, è quello di informarvi prima di andare alle urne, anche perché questa volta non si sarà un quorum minimo. Il risultato sarà valido  a prescindere dal numero dei votanti.


Ricordate che la stabilità di uno stato, risiede proprio nella stabilità della Costituzione, e che essa non è alla mercè della maggioranza del momento. Essa è la fonte di legittimazione e limitazioni di tutti i poteri. La Costituzione può e deve essere aggiornata, ma queste devono essere condivise e soprattutto essere coerenti con i principi della Carta del 1948.

venerdì 4 novembre 2016

Il cassetto dei ricordi





In un dì, di nubi grigiastre,
nel cassetto dei vecchi ricordi
delle lettere quasi sbiadite fan capolinea.

ricordi che pian piano emergono
nella sua visiva nitidezza.
Eravamo giovani e vivaci
nel fiore della gioventù.

Gli occhi si voltano a ricercar nello specchio
Un volto invecchiato dal tempo.

Ma un improvviso raggio illumina i ricordi,
e le mani ritrovano l’improvvisa forza per esprimere
le emozioni di uno sguardo tremolante.

Sensazioni che volano tra passato e presente
Con la complicità della compagna di vita.

I bianchi capelli e la saggezza hanno conservato
le virtù degli esuberanti anni passati.

Ricordi che dopo tanti anni hanno provocato
un sacco di emozioni, anche la parola amore

il tempo l’ha ben conservata.

giovedì 3 novembre 2016

il fascino del tempo





Il tempo che ha affascinato poeti, artisti e pensatori fin dall’alba della civiltà. In quell’atto legittimo di semplicissima curiosità: “che ora è”? ci sta la sorgente dell’umano sapere. Essa porta a una concezione mistica della sua esistenza.  


Il tempo ha un fascino irresistibile, che nella  struttura della nostra esistenza, non potrebbe distinguere il passato dal futuro se tempo e spazio fossero reali. Lo spazio è come un palcoscenico, astratto di "un luogo" infinito nel quale sono collocati i corpi. Mentre il tempo, il tempo è la dimensione nella quale si concepisce  il trascorrere degli eventi, ma in effetti esso è in realtà meramente soggettivo.

mercoledì 2 novembre 2016

Emigranti 2.0



Chi non ha un prozio emigrato in America, in Germania, in Svizzera o in Belgio con la valigia di cartone? Oggi da allora non è cambiato nulla. l’ultima generazione è l’emigrante 2.0, l’emigrante con il bancomat, laureato con tanto di master e dottorato che finisce oltre confine per trovare il modo di far fortuna.  Li chiamano cervelli in fuga,ma spesso vanno all’estero a fare i camerieri o i lavapiatti. Proprio come un secolo fa.

Se ne va la generazione concepita durante il secondo boom economico. Il tempo in cui l'Italia si è riscattata dal suo passato. Partono soprattutto loro. Quelli che hanno vissuto quel liberismo sfrenato, e quella globalizzazione senza regole.
Non è la fuga dei cervelli che fuori confine inseguono la loro qualifica. Non si parte per realizzare il proprio sogno. Vanno per necessità, per disperazione, perché dopo anni di disoccupazione o di contratti saltuari non c'è alternativa.

È sicuramente un'emigrazione meno misera e drammatica. Internet aiuta a tenere i contatti, a non perdersi. Ma dentro, nell'animo, lo strappo è altrettanto forte. Emigrare è vero è una presa di coscienza volontaria, ma questi giovani  sono anche il ritratto di un paese che questi ragazzi hanno deciso di abbandonare perché continua a non ascoltarli. 
È come il capotreno che responsabile del treno che li porta al futuro, all’improvviso decidesse di fermarsi e non ripartire.


martedì 1 novembre 2016

ricomincio da qui



Ricomincio da qui…  da questi versi di Alda Merini, che in questo lunga assenza travagliata da mille preoccupazioni mi hanno portato giorno dopo giorno a metabolizzare quello che speri non arrivi mai. Voglio dedicare questo post a mio padre che da qualche giorno mi ha lasciato si un vuoto, ma una forza d’animo che non ha eguali.

Io come voi sono stata sorpresa
mentre rubavo la vita,
buttata fuori dal mio desiderio d’amore.
Io come voi non sono stata ascoltata
e ho visto le sbarre del silenzio
crescermi intorno e strapparmi i capelli.
Io come voi ho pianto,
ho riso e ho sperato.
Io come voi mi sono sentita togliere
i vestiti di dosso
e quando mi hanno dato in mano
la mia vergogna
ho mangiato vergogna ogni giorno…

la follia è un fatto umano non può oggi racchiudersi in una patologia, dividendo per pura comodità i sani dai pazzi, ma riguarda ognuno di noi , perché la distanza che intercorre tra chi si ritiene mentalmente sano e chi viene ritenuto folle è separato da un filo sottilissimo.

Oggi viviamo in una società completamente impazzita dove la logica ha creato un sistema irrazionale, dove il funzionale ha preso il sopravvento, tanto da definire questo sistema “kafkiano” dettato da regole troppo spesso incomprensibili. Dove la lucida follia dell’uomo moderno che tutto calcola e riduce a concetti si contrappone alla stravaganza di chi ha cercato la vita senza chiedersi com’era, o come fare a possederla.

Folle, folle è colui che crede che il proprio io è senza limiti. Folle è colui che nonostante i propri viaggi mentali non riesce a ritrovare il sentiero di casa. Non chi abbandona la convenzione per un giorno, per indossare la sua vera essenza. Spesso ci perdiamo in parole che non conosciamo, le sfruttiamo solamente ma alla fine non le amiamo.


Allora io voglio essere un folle, se essere folli significa essere veri, di essere vivi, di prendersi i propri spazi, di avere il coraggio di urlare o di piangere. Di vivere nella vera incertezza e cercare di rendere reale il mio sogno. Quello  di invecchiare con alle spalle una vita vissuta che paga meno in denaro ma più di sorrisi, e non essere morto schiacciato da un sistema che non mi lascia dormire

venerdì 28 ottobre 2016

a mio padre, arrivderci ...



“Ciao “vecchio” questa volta se te lo posso dire non ti arrabbierai…  ti scrivo perché parlarti non è più possibile. Questo è il mio modo per non dimenticarti …
sono solo parole, ma adesso e pur sempre meglio che niente.






L'unico modo in cui ora posso affrontare questa situazione è accettare il mio dolore e lasciarlo sfogare, anche perchè riflettere su quel che si sarebbe potuto fare è unicamente un modo per fuggire alla sofferenza di quel che ora è irreversibile e reale: la tua morte.

Ci eravamo sentiti proprio ieri e tu mi avevi assicurato che dopo il secondo intervento tutto procedeva bene. ma entrambi lo sapevamo, e tu lo sapevi secondo me già da tempo che non ci saremmo ne più visti ne sentiti.

Abbiamo vissuto pochi momenti insieme, vuoi la nostra testardaggine, vuoi la lontananza, ma quei pochi momenti sono stati intensi, ma ora non c’è ne saranno più nemmeno uno. Ricordo ancora quando con il tuo fare patriarcale dispensavi consigli dicendomi di tenere sempre un occhio rivolto a ciò che stai diventando, in modo da cominciare a porre le basi della tua vita.

Hai passato gli ultimi due mesi in un letto di ospedale, sapevo  che quel sabato di ottobre sarebbe stato l ultimo giorno che ti avrei visto…  ma la speranza sai è sempre l’ultima a morire,  ed ora mi ritrovo a pensare a te e l’immagine di te all’ospedale 

Uno è il mio dolore, quello di averti perso, uno è il mio pentimento, non averti visto ancora una volta; una è la mia colpa, non essere stato lì con te quando sei andato via; una è la mia domanda: sei sereno ora? Domanda a cui non c è risposta, domanda che mi rifarò ogni giorno della mia vita…  

Si dice che darei tutto per un’altra occasione …. Venderei l’anima al diavolo per rivederti, ma so che non me lo perdoneresti mai. Quando ci siamo salutati quel sabato di ottobre, sapevo in cuori mio che non ti avrei più rivisto, era solo questione di tempo, e quando stamattina è arrivata la telefonata avevo già capito che ci avevi lasciato.

Quando ti rivedrò sarai ormai disteso dentro una bara, inerme e immobile, ma ho voglia di rivederti ancora una volta, perché non voglio conservare quell’immagine di un uomo sofferente e sfinito, intubato in un letto d’ospedale,  ma di un uomo che ha lottato fino alla fine.


 Non ti dimenticherò mai. Meriti tutto il mio rispetto per l’uomo e padre che sei stato, sarai sempre con me questo lo so, avrai solo cambiato   la forma. Io sono il figlio di mio padre e sono fiero di esserlo. Questi giorni mi lascerò trasportare dal dolore e dal peso della tua assenza, non preoccuparti perché presto le lacrime si asciugheranno, resterà il dolore ma sarai sempre nel mio cuore …

Arrivederci  papà



giovedì 25 agosto 2016

come un film già visto



Che cosa si può dire di quel centro Italia ricco di fascino e di storia, trasformato in qualcosa di spettrale e terrorizzante? Che non è la prima volta che accade. Possiamo dire che poteva andare peggio? Perchè no. Si, anche. Che ci sono delle responsabilità? Certo, che il terremoto è imprevedibile? sicuramente.

La cronaca del terremoto, non ha bisogno di altri commenti. Ci hanno pensato già i media che ci informano in merito. Ma resta chiara in noi la gravità dell’accaduto. Cresce il numero dei morti e dei feriti, aumenta vertiginosamente il numero dei senza tetto. Si muovono la macchina dei soccorsi e della protezione civile e il volontariato. Negli ospedali si registrano code per donare il sangue e la raccolta di aiuti e di denaro è attivata.

Resta comunque netta la sensazione di vedere un film già visto, una sorta di déjà vu. E come tale anche questa volta, così come per la morte, si sono presentati puntuali, con i morti ancora caldi sotto le macerie, gli sciacalli. Bastardi senza cuore e senza onore, frugano tra le macerie di chi a perso tutto, ferendo ancor più del disastro stesso. Sperando che la smettano qui, e non come al terremoto dell’Aquila, aspettano un piatto ancor più ricco. Come dimenticare la risata di quei due imprenditori,  dimostrando tutta la loro avidità.
In ogni modo, questo non è il momento delle polemiche, ma quello di soccorrere i feriti, sia nel corpo che nello spirito. Resta comunque evidente, come a causa della nostra burocrazia medievale, quei fondi che erano stati stanziati proprio per i comuni di Amatrice e Accumuli, non siano stati spesi. O peggio ancora spesi male, vedi la scuola e l’ospedale ristrutturati con i fondi del terremoto dell’Aquila e crollati come fichi secchi.  Altro  meccanismo da tenere sotto controllo, è la raccolta dei fondi per i terremotati. La generosità è un qualcosa di cui andar fieri, ma troppe volte dobbiamo assistere a come quei fondi vengano utilizzati con grave ritardo e in modo non sempre appropriato.

È inconcepibile come in uno stato come il nostro, così fortemente esposto a eventi sismici, ancora oggi non si fanno investimenti per tutelare il patrimonio immobiliare. Dimenticando la cosa fondamentale, che qualsiasi struttura realizzata dall’uomo non può essere eterna se non con una corretta manutenzione. Credo che sia necessario imparare dagli errori del passato, perché qualsiasi catastrofe naturale sono relativamente imprevedibili, una fatalità con la quale imparare a convivere, e per quanto possibile controllare in condizioni di massima sicurezza.

Una cosa resta certa, che in momenti come questi, così drammatici, e dopo aver provato umana compassione, viene da riflettere sulla tragica integrazione della morte che livella le differenze. Come faceva notare Totò usando proprio la metafora della “livella” come livellatrice di ogni disuguaglianza esistente tra i vivi. Così penso che tutti con più o meno timore sono morti come fratelli. speriamo di non scordarcelo anche quando le macerie saranno state tirate via.

venerdì 29 luglio 2016

tempo di vacanza



C’era una volta il tempo, proprio quello delle vacanze, O semplicemente “a bella staggione” come si dice a Napoli. L’estate è la regina delle stagioni perché il clima permette di cazzeggiare, perché la gente viene invasa da uno strano senso di euforia. E perché siamo più belli con l’abbronzatura grazie al potere del sole. Ma l’estate piace soprattutto perché, nell’immaginario collettivo, agosto è il mese delle ferie.

Ma ha ancora senso parlare di tempo delle vacanze? Certo almeno il mese di agosto dominato da ritmi più lenti a cospetto di giorni assolati, sarà vissuto, per chi può nell’antico dilemma della scelta tra mare o montagna. È un dilemma lasciato a pochi, e non solo per motivi economici.

Staccare la spina è un termine di uso comune per indicare la necessità di un periodo di riposo, ma oggi nessuna espressione come questa coglie nel segno, riguardo al rapporto con la vacanza assimilata a una connessione che viene temporaneamente a mancare.

Nella società globalizzata si è di fronte alla più grave delle colpe. O forse a un peccato di matrice laica e, proprio per questo imperdonabile. Nessuna forma di misericordia sembra infatti essere prevista per inadempienza di tale genere.

Sarà per questo che per molti c’è l’affanno a correre ai ripari, nonostante tempi e possibilità non sono certo quelli di una volta, quelli della stagione delle vacche grasse. Nonostante tutto  in tanti non esitano a spendere più delle loro reali possibilità pur di assicurarsi vacanze spesso fagocitate dalla rincorsa delle apparenze e bruciate dalla ricerca spasmodica del divertimento a tutti i costi. Per chi potrà permettersele, le vacanze saranno a misura della crisi, salvo i ricconi che non hanno problemi di spesa, o gli irresponsabili, che si lanceranno ancora una volta in scelte non corrispondenti ai loro mezzi reali.

giovedì 28 luglio 2016

Il folle, diverso da chi?



Questo è uno dei miti più popolari: lo psicologo cura i matti. Spesso  mi è capitato, di incontrare persone che si vergognano di far sapere che vanno da uno psicologo. Uno dei timori più ricorrenti su cui si basa questo pregiudizio è la paura di farsi vedere oltrepassare la porta dello studio. Si perché ancora oggi ammettere di recarsi da uno psicologo implica un ammissione di colpa  del proprio equilibrio psichico.

Hieronymus Bosch, L'estrazione della pietradella follia, c. 1488-1516.
Sia ben chiaro che la mia nono vuol essere una  “lectio magistralis” di psicopatologia, anche perché non sarei la persona più idonea a farlo, ma un modo semplice per riflettere in senso auto-critico.  Operazione questa raramente riscontrabile in tante menti (in)sane, che tanto, troppo spesso, fa difetto alla persona comune troppo sicura di sé, troppo ancorata al proprio “buon senso”, troppo “confortata”  da pseudoverità e soprattutto da pseudocertezze di cui si nutre.

La psichiatria ha identificato correttamente il folle, il pazzo, in altre parole, è stato definito come la persona che non è padrona di sé (ma attenzione: neppure il nevrotico, neppure il cosiddetto “sano di mente” sono del tutto padroni di sé...). Il perfetto “sano” dal punto di vista psicologico, probabilmente non esiste...

Oggi, dopo millenni di confuse rappresentazioni sociali sulla follia, abbiamo un’attendibile versione fornita dalla neurologia e dalle neuroscienze, che la malattia mentale esiste. E’ un fatto innegabile che essa esista. Ma quello che non è cambiato è  il giudizio su di essa. Giudizio che spesso è “pregiudizio”: quindi, giudizio anticipato, quasi sempre giudizio negativo, soprattutto culturale, con tutta una serie di condizionamenti.

Quello su cui bisogna riflettere non è tanto la malattia  “in sé” quanto sulle reazioni prodotte da chi asserisce  che  questa malattia non ce l’ha. Quindi più che parlare del malato voglio concentrarmi sulle emozioni che inquietano e sconvolgono la persona normale di fronte alla anormalità. Paura, angoscia,  e terrore sono giustificate quale difesa dal pericolo di essere “travolti dal malato di mente”. Ma la giustificazione è povera… e ricca di preconcetti.  Talvolta la pazzia risulta tale proprio a causa del comportamento “folle” (metaforicamente folle) di chi è oggettivamente “sano” ma talmente ignorante (proprio nel senso di “persona che ignora) da risultare pericoloso agli altri, agli altri etichettati come “estranei”. 

Il pregiudizio talvolta non resta solo un pensiero, ma diventa azione: dallo sguardo si passa al comportamento e da qui stigmatizzazione, emarginazione, isolamento.“Mors tua vita mea”: questo è il movente psicologico che agisce all’interno della persona sana. E qui abbiamo un enorme paradosso: la persona sana, per difendersi dai propri fantasmi di follia, dà vita ad altri fantasmi, sicuramente meno gravi per se stessa, ma potenzialmente assai lesivi dell’Altro, e questi meccanismi sono essi stessi patologici, sia pure di piccola patologia. Per farla breve, la persona sana, nel giudicare lo psicotico, si rivela un nevrotico.

Ma allora che cos’è la diversità? Che cos’è la devianza? La risposta sembrerebbe facile: “essere fuori dalla norma”. Ma quale norma? E qui le cose si complicano. Le cose del mondo sono soggette ad interpretazione. Tutto è tremendamente relativo! Inoltre, quasi tutto dipende da chi giudica (e non da chi viene giudicato).

Che dire, cosa suggerire in conclusione.  Risulta decisamente arduo classificare il cosiddetto “folle”, sia nella sua diversità (da chi? se i sani tanto sani non lo sono...) sia nella sua devianza (da cosa? se  la normalità è così mutevole...). Forse la soluzione minimale risiede in quanto segue: il profano dovrebbe (finalmente) imparare ad inibire la facile propensione allo stigma e lasciare allo specialista la facoltà di fare diagnosi, perché il folle altro non chiede che di venir “riconosciuto”. 

Il pregiudizio e lo stigma sono gravi fatti psicologici: possono far male, possono persino togliere la vita. Pertanto, si tratta, di capire sino in fondo il senso di: “Ne uccide più la parola che la spada” e “Le parole sono pietre”. A proposito di pietre:  l’artistica ironia Hieronymus Bosch dipinge un opera: La pietra della follia. Forse anche ognuno di noi dovrebbe farsi estrarre dal proprio cranio non tanto la “pietra della follia” quanto la “pietra del pregiudizio sulla follia”

martedì 7 giugno 2016

sull’altare della bellezza, pronti a violentare il corpo



Il tempo ha deformato l’immagine del corpo, affermando la cultura del disprezzo, dove prevale la tua figura quasi inesistente. Una donna sempre giovane, tonica, e dal seno florido. Lo stereotipo della velina o letterina qual si voglia scegliere è indifferente. 

autoinganno
È il trionfo della medicina estetica, il sangue scorre a fiumi sull’altare della bellezza, martoriando e violentando il corpo. Diete, fitness, massaggi, che pur avrebbero una funzione positiva e rigenerativa, se non fosse che degenerano in strumenti di guerra.


Questa critica, appena accennata, serve a poco. La vera questione è che: la vera bellezza è stata separata dall’intimo di ogni donna, fatta merce di consumo, sessualizzata e generalizzata,  ma al tempo stesso resta irraggiungibile.  

lunedì 6 giugno 2016

Il viandante



Nella vita si può essere turisti, trekker,  pellegrini devoti o semplici viandanti. Ma ognuno che sta per cominciare un cammino non può esimersi  dal chiedersi che stia davvero cercando attraverso il viaggio.

Il viaggio può essere un luogo, un aneddoto, una curiosità, una svolta un bivio nella storia di ognuno di noi. Non è dato sapere dove comincia e né dove finisca, L’unica cosa certa è che ogni volta può essere il momento in cui può nascere un racconto, un romanzo o un poema epico. 

Ogni viandante ha il suo viaggio da raccontare, da esplorare e da scoprire, è il custode della storia più misteriosa, più inedita o perché no la più divertente o la più drammatica. 

È colui che va sulla via, su percorsi già tracciati, sui quali altri camminano e altri possono essere incontrati. Non sempre ha davanti a sé una meta precisa, ma in questo suo andare, anche se ha le accoglienze prenotate, rimane in fondo  un “mendicante”: di incontri, di sguardi, di senso di verità. Non ha bagagli,  è equipaggiato semplicemente di una bisaccia, in cui mette poche cose essenziali: un po’ di cibo, dell’acqua per dissetarsi, tutt’al più qualcosa per coprirsi dalla pioggia e dal freddo ... un libro...  La consapevolezza di essere in ricerca lo pone in atteggiamenti umili di fronte alla realtà, nel desiderio, più o meno acuto,  di ottenere risposte alle molte domande che lo pervadono.

Quello che differenzia il pellegrino dal trekker, dal turista e persino dal turista religioso, è proprio il modo di mendicare. Ma alla fine ciò che accomuna tutti è il ciò che si sta cercando nel proprio viaggio.

giovedì 2 giugno 2016

auguri alla Repubblica, dove i cittadini non contano



Oggi 2 Giugno festa della Repubblica.  Di quella Repubblica invasa e disoccupata". Di quella Repubblica che dovrebbe prendere decisioni importanti nell'interesse  della popolazione,  decide invece ancora di spendere denaro pubblico per una operazione di facciata. 

Mi sento disilluso da questa  classe politica sotto la cui guida abbiamo assistito ad una caduta spettacolare degli indici economici, che ci hanno fatto tornare ai livelli di reddito dei terribili anni Novanta.  Forze politiche incapaci di governarci ed, a giudicare dal bilancio economico di questi ultimi anni, anche profondamente ignoranti. Mi sento disilluso da questo stato a cui pago le tasse, per ottenere un calcio negli zepetei  e un “forse avrai la pensione”. Magari sperando in un mio prematuro trapasso, perché poi “la pensione di quel pirla è poca cosa”.

Ogni commento è superfluo, a parte la constatazione che viviamo in una Repubblica delle banane,  E come tutte le repubbliche delle banane anche la nostra è un paese dove  sole, mare, opere d’arte e monumenti  è il posto ideale per andare in vacanza; ma dove chi ci vive è costretto a sopravvivere, perche’ non è piu’ possibile vivere decorosamente. Un paese così piace più agli stranieri che se lo stanno comprando pezzo dopo pezzo, dato che gran parte dei suoi tesori sono in vendita, o meglio in svendita. E di questi saldi bisogna ringraziare la nostra classe politica, inclusi gli inquilini del colle.


Auguri  alla Repubblica delle banane, dove i cittadini non contano,  dove i politici giocano a scacchi, oltretutto anche male, tra di loro usando come scacchiera il popolo Sovrano.

lunedì 30 maggio 2016

La lumaca è un grande maestro zen



In questo post voglio porvi una riflessione libera  e senza pretese che vuole solo essere manifesto di filosofia di vita. Saranno i miei …anta che mi costringono a riflettere a fare un po’ di introspezione.

Mi piace guardare  senza malinconia e nostalgici ricordi ciò che mi circonda, capiamoci, io sto bene in questo corpo, lo spirito è saldo, ma fondamentalmente mi chiedo: dove sto andando? E soprattutto come ci sto arrivando?

Questi quesiti mi spiazzano, mi mettono agitazione. Su chi sono oggi non ho dubbi, ma quest’uomo domani che uomo sarà? Prima di tutto penso a ciò che non vorrò essere. Non voglio i piaceri Take away e gioie low cost. voglio vivere tutto fino in fondo, con calma, con lentezza, gustarlo con tutti i sensi, spirito compreso. Continuando con le mie farneticazioni al grido viva la lentezza, mi complimento con la lumaca.

Voi vi chiederete perché proprio la lumaca? La lumaca è un grande maestro zen. Non ha mai fretta, gode di quello che ha, molto semplicemente. Racchiude in sé la sintesi delle polarità sessuali, una fusione di maschile e femminile che chiunque dovrebbe potenziare interiormente, prima ancora di andare in cerca dell’anima gemella fuori di sé. La lentezza non è pigrizia, è attenzione e presenza. È propedeutica a qualsiasi pratica spirituale, di risveglio o di autorealizzazione che dir si voglia: non c’è testo a tema evoluzione personale che in qualche punto non tiri fuori l’aggettivo lentamente.  Nella lentezza c’è il gusto di assaporare la vita, di accorgersi dei dettagli, di vivere nel presente passo dopo passo. Nella lentezza non c’è paura, c’è fiducia e assennatezza e c’è attenzione, il principale veicolo catalizzatore di energia di cui possiamo disporre


mercoledì 18 maggio 2016

La felicità non è socializzabile.



Oggi giorno, in molti sono convinti che la solitudine sia sinonimo  di infelicità. Ma non c’è nulla di più sbagliato. Se non vi fa stare male, soprattutto quella che si prova quando, almeno in apparenza, soli non si è.  La solitudine è anche una opportunità per conoscersi meglio.

La maggior parte della gente vive in una sorta di socializzazione coatta, siamo tutti costretti a frequentare altri nostri simili, e se per qualsiasi ragione uno preferisce restare da solo, ecco che sorgono i primi allarmismi.  Come se fosse un sintomo di una pericolosa involuzione e preludio di chissà quale alienazione mentale.

Ecco allora che ci siamo inventati la figura dell’animatore, che ha il compito di stanare tutti coloro che cercano in qualche modo di sfuggire all’orrida socializzazione, costringendoli a unirsi al gruppo. Oggi i sociologi credono o meglio pensano, che le persone debbano fisiologicamente aggregarsi, identificando la solitudine come un problema contemporaneo più sentito, e probabilmente lo è.

Non tutti potranno condividere il mio pensiero, ma la solitudine è, spesso frutto di una selezione, e dovrebbe essere triste essere obbligati a tessere relazioni pur di non rimanere soli.

Il voler isolarsi, non voler condividere, non è egoismo. Per molti è un momento di creatività, di nutrimento. E spesso questi momenti non possono essere compresi da chi non lo sta provando, e quindi non necessariamente condivisibile. Un contadino conosce bene quelle sensazioni, quando si trova a contatto con la nuda terra, o un fabbro quando forgia  magistralmente il ferro.


La felicità personale è di rado socializzabile …

venerdì 6 maggio 2016

ritrovare la frugalità




Nella matematica, la parabola, ha un punto oltre il quale il declino è inesorabile, irreversibile. Questa sembra anche l’attuale ideologia della società moderna. La crescita personale non è più in armonia con il rispetto della vita. L’importate è accumulare beni e ricchezze, la stessa natura e depredata in nome dell’abbondanza.  Ma come per le parabole matematiche, anche la nostra esistenza ha  inesorabilmente un punto X irreversibile.


Uscire quindi da questa società iconoclasta è dunque una necessita. Ritrovare la frugalità ci permetterà di ricostruire una società all’interno della quale ridurre le proprie dipendenze, e a creare valori d’uso comune non quantificabili. La crescita interpersonale è dunque la strada maestra, poiché si è meno soggetti alla propaganda compulsiva del desiderio. Ma abbiamo ancora i margini perché il delta sia ancora maggiore di zero?

giovedì 5 maggio 2016

i giocattoli, dispensatori di felicità



Cosa può generare felicità in un bambino? Un emozione, piccola o grande che sia è pur sempre un emozione. L’odierna cultura sociale, e ciò di cui parlo non si riferisce solo al ruolo di genitori, ma a tutto il complesso pedagogico, parte dal concetto che ai bambini fin dalla nascita bisogna dare e offrire regali. Perché solo così potranno essere felici.

Ed ecco che così la felicità per i bambini diventa un sentimento veicolato attraverso gli oggetti. Introducendo nell’educazione dei propri figli una pericolosa interpretazione della felicità. Secondo cui i sentimenti e le emozioni non sono esseri immateriali ma hanno un nome, un colore, una forma addirittura un prezzo. Così un negozio di giocattoli diventa un dispensatore di relazioni affettive.

Adesso a te che mi stai criticando, o mandando a quel paese, prova a farti una semplice domanda: è più facile abbracciare un bambino senza avere nulla da regalare, oppure creare un cortocircuito tale che ogni emozione espressa attraverso il corpo debba per forza anticipare l’offerta di un qualcosa di materiale?


Questa tendenza, così incongruente, trova le sue radici verso un comportamento sempre più spesso a facilitarci la vita in tutti i modi possibili. Purtroppo in tanti hanno dimenticato che la felicità non ha prezzo, e solo  per tutto il resto c’è “Mastercard”

mercoledì 4 maggio 2016

Lo stagista, il nuovo schiavo





Confrontandoci con il nostro tempo e la nostra società, è chiaro come negli ultimi anni, il mercato del lavoro è diventato sempre più cinico ed egoista.
Basta poco per rendersene conto, basta entrare in un qualsiasi ufficio professionale per imbattersi in tanti giovani che lavorano da stagisti o da  assistenti, senza percepire un solo euro. In barba al cosi detto Jobs Act e al lavoro sommerso.

Negli ultimi anni si è dato per scontato, che per diventare dei professionisti, oltre alla laurea con relativo esame di abilitazione, occorre trascorrere un periodo di tempo (avvolte anni) di apprendistato gratuito, nella speranza di ottenere un contratto rigorosamente a tempo determinato. Per molti giovani una tale attesa rappresenta già il raggiungimento di un obiettivo, accettando quel periodo di schiavitù come un asservimento necessario.

Tutto questo non riguarda solo gli studi professionali, ma anche una vasta gamma del mondo del lavoro, in genere è quello della formazione post-diploma. Dalle estetiste, ai parrucchieri, dall’idraulico all’elettricista, dagli studi grafici alle testate giornalistiche; c’è una terra di nessuno dove il riconoscimento minimo di un diritto è una chimera. Una realtà che si è diffusa proporzionalmente all’aggravarsi della crisi economica. Diminuendo i fatturati, cresce la tendenza di sfruttare in modo intenso soggetti a basso tasso esperienziale, disposti a qualsiasi compromesso pur di arricchire il curriculum.

Io non sono contro il lavoro gratuito, Il lavoro non remunerato non è per forza un male, ma attenzione, il lavoro gratuito inteso solo per scelta, per la visibilità, e non per necessità. D’estate quanti di voi hanno lavorato nelle strutture alberghiere, nei campi, o nei mercati, lo abbiamo fatto per scelta, non perché costretti. Ma a differenza dello stagista c’è una differenza: la retribuzione.

Venivamo pagati, poco, sicuramente. Ma quella è la fase in cui si ci fa le ossa, si fa la gavetta, e il tuo lavoro valeva poco. Però cera un impegno quotidiano che mi veniva riconosciuto. Oggi invece si fanno gli interessi delle aziende e invece di investire sui giovani, lo stato regolarizza la beneficenza alle aziende.

Oggi se il famigerato bamboccione, che secondo il Brunetta dovrebbero uscire di casa a 18 anni,  vuol lavorare, è costretto a farlo gratis, con la speranza che prima o poi venga assunto. E intanto si potrebbe chiedere alla Fornero che definì sfigati i laureati senza lavoro, se è disponibile ad offrire vitto e alloggio agli stagisti.


ma in che mondo viviamo, solitamente un’azienda dovrebbe investire sulla risorsa umana, magari con una minima retribuzione come rimborso spese, e una volta formato dovrebbe essere assunta, questo è un circolo virtuoso. Mentre da buon italiani il nostro è un circolo vizioso, non pagano e tra sei mesi cambiano stagista, come le lamette della barba “usa e getta”

lunedì 2 maggio 2016

25a festa della lumaca a Villastrada



La manifestazione più longeva di Villastrada, quest’anno si riveste di una particolare attenzione: sono venticinque anni,  dal lontano 1992, che viene riproposta. Dagli albori iniziali nella piazza del paese, ora al parco primo maggio in locali più accoglienti a ricevere un pubblico sempre più numeroso ed entusiasta.

la manifestazione è diventata motivo di orgoglio per la Proloco, che vi aspetta numerosi anche quest’anno nei  weekend 14/15 – 21/22 – 28/29 maggio e  mercoledì 1°giugno 2016.

A farla da padrone come sempre lo stand gastronomico che presenterà un ricco e variegato menù con piatti a base di lumache e tanto altro ancora.




http://www.prolocodivillastrada.com/

domenica 1 maggio 2016

C'Era una volta il Primo Maggio





Primo maggio, festa del lavoro? Sì, ma di quale lavoro? Non certo inteso come diritto sancito dalla Costituzione. Ovvero, il lavoro è stato considerato un valore che consente l'affermazione della personalità umana, e L'art. 4 dice che i cittadini hanno diritto al lavoro: e questa affermazione va intesa nel senso che lo Stato si deve impegnare a intervenire nel sistema economico per creare possibilità di lavoro per i cittadini; interventi di questo tipo sono perciò un obbligo per il nostro Stato.

Chi sta al Governo dimentica i problemi reali della gente e dimentica pure che non bastano le campagne mediatiche sul Jobs Act, in cui si ripete che quel provvedimento dà lavoro, quando invece il suo risultato si è rivelato alquanto esiguo e di sola convenienza per le aziende.

L’aumento mensile ha prodotto il prevedibile entusiasmo del presidente del Consiglio Renzi che su twitter si è esibito nell’ottimismo dispettoso di ordinanza: «I dati del lavoro? – ha scritto – Dimostrano che #jobsact funziona: #italiariparte grazie alle riforme e all’energia di lavoratori e imprenditori #segnopiù»

A marzo l’occupazione recupera ma, rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso, la variazione dell’occupazione è pressocché nulla. Il mercato del lavoro ristagna e, anzi, conferma l’andamento degli ultimi mesi, coerentemente con il piccolo e incerto cabotaggio del Pil. Il 2015 era stato considerato l’anno della svolta, l’anno dello strumento miracoloso, la lampada di Aladino il Jobs Act, peccato che a ridimensionare gli entusiasmi arrivano sempre i dati:


A marzo 2016 stima occupati +0,4% (+90 mila) su mese. 
Tasso di disoccupazione all’11,4% (-0,3 punti)
totale su base annua +0,1%


E giusto per essere chiari, per Eurostat la percentuale di occupati in Italia è la più bassa tra i 28 paesi dell’Unione, fatta esclusione per la Grecia. Quindi c’è poco da essere felici.

Non bisogna neanche dimenticare che il Jobs Act è giunto al capolinea, che succederà ora che gli incentivi andranno a diminuire? È stancante ed umiliante continuare a commentare questi numeri, senza far nulla a livello strutturale. Un malato cronico non va curato con somministrazioni di antibiotici … L’Italia riparte, ma il problema è verso dove!


Invece si continua la propaganda, come quando occorre comprare consensi in periodi preelettorali. Mentre il paese continua a sprofondare, il lavoro non esiste e i pensionati sopravvivono. la ripresa va stimolata in ben altri modi, iniziando dalla riduzione del costo del lavoro, ma con tagli veri non con promesse da marinaio …