giovedì 19 giugno 2014

EUTANASIA: ESSERE NON ESSERE



In questa epoca sempre pronta a nuovi cambiamenti, sempre incurante delle avversità della vita, dolore e morte sono gli unici fantasmi ancora temuti da questa società, che considera la vecchiaia un insulto inaccettabile. Non si è più preparati come un tempo all’ineluttabilità della fine, per questo si cerca di mascherare la morte, di allontanarla, addolcirla.


E se c’è qualcosa di umano e di logico in questa paura, c’è qualcosa di assurdo e sinistro nei modi di esorcizzarla. Vedi gli americani, sono tremendamente bravi nel cancellare dai loro pensieri e dalle cose di tutti i giorni il pensiero della morte. I funerali sono ormai  feste,  i defunti vengono imbalsamati truccati, ingioiellati, affinché sembrino ancora in vita. Mentre ambigui istituti promettono presto la resurrezione mediante un processo di congelamento.

In Italia, siamo molto lontano da questa ansia di vita eterna, e finché siamo costretti a morire cerchiamo una morte indolore e che sopraggiunga in modo inaspettato. In questo clima di giustificato timore si parla sempre maggiormente di eutanasia, di questa “”buona morte”” offertaci da mani premurose pronte a staccare tubi e chiudere valvole, a prepararci iniezioni liberatorie.

Il grande dramma che contiene in sé questa parola è nella contraddizione del suo significato: la buona morte. C’è davvero una buona morte, o la morte è sempre morte comunque? È giusto dare una buona morte a chi sta soffrendo pene atroci, anche se di conseguenza significa togliergli la vita?

Fra le tesi a sostegno dell’eutanasia, c’è quella del diritto di morte dignitosa, ma sicuramente è difficile parlare di dignità nel dolore. Una persona che soffre, urla, di dibatte, chiede aiuto. Ma come si misura la dignità di una persona? Con lo stesso metro di giudizio che viene utilizzato per una persona sana? Io penso che in nessun altro caso l’uomo ha tanta dignità quanto né ha nella sofferenza e nella morte. Quando si parta di eutanasia non si tiene conto che la si praticherebbe su un essere privo di coscienza, almeno nella maggior parte dei casi, quindi incapace di dare la sua approvazione. Non penso vedere praticare ad un proprio caro l’eutanasia sarebbe dignitoso ne per lui ne per noi.

Di fondo c’è il profondo desiderio di vita, che a volte sopravvive, supera, va al di là persino della nostra volontà. “”l’essere”” sosteneva Aristotele, è comunque superiore al non essere, anche lo stesso Leopardi, pur nel suo pessimismo, scriveva: “”la morte non è mai troppo vicina al pensiero del moribondo per la misericordia della natura””.

Io penso che il problema sia estremamente delicato, mi sembra azzardato codificare l’autorizzazione a porre fine ad una vita. Già la nostra epoca è piena di morti di tutti i tipi, aggiungere un altro motivo per uccidere, e assurdo. 

Non sarebbe allora più giusto, anziché invocare una legge che regoli la nostra fine, affidarci alla coscienza di chi ci cura e al coraggi di chi ci ama?  Io personalmente non mi sentirei di prendere una decisione così terribile.

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