martedì 5 agosto 2014

I PENDOLARI



A Milano come a Parigi, a Londra come a New York, ogni mattina, fra le 6:30 e le 8:00, accolgono migliaia di lavoratori o studenti provenienti da ogni latitudine della provincia, e ogni sera fra le 18:00 e le 19:00 li vedi ripartire. I più lontani lasciano le loro case quando il sole ancora non è sorto e vi ritornano che è sera inoltrata.

 Ci sono poi, quelli, che si fermano in città fino a tarda sera per frequentare palestre o centri commerciali. I più fortunati arrivano con un proprio mezzo di trasporto, a due o quattro ruote, mentre i meno fortunati si accalcano nei treni e negli autobus. Apparentemente disinvolti, sorridenti e, a volte, chiassosi i più giovani,  mentre seri, taciturni e spesso imbronciati i più anziani. 

I pendolari non hanno etnie e ne sesso, appartengono a ogni stato sociale,  hanno un proprio credo politico e religioso e hanno un forte senso di appartenenza al branco. Non so chi per prima li ha chiamati pendolari, ma trovo appropriato il nome. Vanno e vengono,  dal lunedì al sabato, per lo stesso percorso, con meccanica rassegnazione, proprio come il pendolo, che meccanicamente compie e ripete sempre la stessa oscillazione.

Il pendolare e un uomo pragmatico, è lui che ha inventato l’abbigliamento a cipolla, e sempre lui che in occasioni di scioperi o ritardi nella borsa ha sempre tutto l’occorrente per la sopravvivenza.

Pendolari, fenomeno  della nostra era, comune a tutte le metropoli, in grado di offrire lavoro anche a chi  viene da lontano, ma non alloggi, perché troppo cari. Una cosa è certa però,  ogni frazione di tempo che fosse possibile sottrarre alla fatica dei pendolari assumerebbe un rilevante valore umano. 



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