Ti alzi,
scrivi decine di e-mail, invii messaggi su Facebook, Whatsapp,
Twitter, Telegram etc. Un algoritmo li filtra, determina cosa ti
piace e sceglie per te cosa desideri.
Sembra che le nostre sorti quotidiane siano sempre più legate agli
algoritmi: è per colpa di un algoritmo, per esempio, se tanti insegnanti sono
stati inviati a disbrigare la loro missione pedagogica a
migliaia di chilometri di distanza dalla sede di residenza; è per colpa di
un algoritmo se, in diversi ospedali, le ecografie alle donne già incinte di
due mesi vengono fissate alla fine della gravidanza; è per colpa di un
algoritmo se le Ferrovie dello Stato hanno incrementato in maniera
sproporzionata il costo dei biglietti (anche se, trattandosi di strade ferrate,
non escluderemmo qualche problema col calcolo binario). Hanno persino trovano applicazione nella televisione, per
individuare i personaggi più idonei a condurre spettacoli e rubriche,
analizzandone preparazione e condotta di vita: accade così che, dopo
aver vagliato il curriculum di tutti, l'algoritmo utilizzato mi abbia indicato come il soggetto
più idoneo a sostituire, a decorrere dalla prossima stagione televisiva, Lucia
Annunziata, nella trasmissione in mezz’ora.
Dunque, sono le storie che
ci raccontiamo a determinare le nostre percezioni, molto più di tante inascoltate
analisi scientifiche. E a guidare questo storytelling è la nuova versione del
capitalismo.
Ma come in ogni tumultuosa fase di passaggio, se è certo ciò che
ci si lascia alle spalle, non è altrettanto certo ciò che si ha davanti. E quando l’immagine dell’avvenire pare troppo
nitida, sorge il dubbio che a renderla tale provveda un inganno prospettico, figlio di un certo feticismo tecnologico, di
uno storytelling intriso d’ottimismo, che può ottenebrare persino il pensiero
critico.
Ma è davvero possibile compiere la scelta migliore sempre? E
soprattutto migliore rispetto a cosa? Esiste un migliore assoluto o un’infinità
di possibili migliori tanti quanti sono gli scenari che si aprono davanti alle
preferenze di vita di ciascun individuo?
In ogni modo, buon algoritmo a tutti! Si perché è più semplice
nascondersi dietro alla complessità di un applicativo di ultima
generazione che dover fare appello a fattori meravigliosamente ed
esclusivamente umani come l’esperienza, la sensibilità, la capacità di
comprendere a fondo le persone che abbiamo davanti.
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